Descripción de la Exposición
BAIAE
- mostra collettiva d’arte contemporanea –
Giovedì 3 agosto, alla Casina Vanvitelliana, nel Parco Borbonico del Fusaro - BACOLI (NA), si inaugurerà “BAIAE", una mostra di artisti Spagnoli ed Italiani, patrocinata dal Comune di Bacoli, in collaborazione con il Centro Ittico Campano, l’associazione Napoli Città Reale e con la Fundaciòn Paurides di Elda.
La rassegna, organizzata da Enzo Trepiccione e Antonio Ciraci e curata dal critico d’arte Rocco Zani.
Espongono: Erica Appiani, Virginia Bernal, Carlo De Lucia, Marcello Gallo, Luz Bañón, Miguel Avila, Kraser, Xavi Ferragut, Alicante Mateos, Ana Ortin, Antonio Ciraci, Salvador Torres, Enzo Trepiccione, Aurelio Talpa.
La mostra sarà poi visitabile fino al 24 settembre, tutti i venerdì, sabato e domenica, dalle ore 18,00 alle 21,00.
BAIA, LA MEMORIA SOMMERSA di Rocco Zani
C’è forse, in questo spazio fisico e metaforico della città naufragata il senso – ovvero il principio permanente – di un indizio che si è fatto, nel divenire, identità, sommossa, eco, azione. Nulla pare imprescindibile dalla caducità della natura, e al contempo, dalle sue incessanti mutazioni. Ecco allora una reiterata interdipendenza tra l’arte e l’accadimento, tra l’artista e un paesaggio che è commistione di energie, di intenti, di sovversioni, di incauti equilibri. La scelta di un luogo non è mai occasionale o disattenta, piuttosto risultato di ragioni più o meno visibili, più o meno occulte, più o meno immaginabili.
Baia è un cortile di memorie millenarie, di ri-nascite, di pericoli e bagliori, di custoditi sguardi. Ma è soprattutto il genius loci relazionale, quello che riconduce – molti – alla propria cifra originaria, alla stampigliatura genetica che è comprensorio di minuscoli – e più grandi – segni, rifiati, incanti; di impercettibili nessi o di inedite azioni. Accade allora che il Ninfeo sommerso sia oggi mappatura poetica di uno spazio i cui argini si sono estesi e poi ramificati in più capillari cortili, come se le voci e gli occhi di ognuno avessero carezzato e soggiogato altre voci ed altri sguardi. Fino a farne comunità di intenti e di corrispondenze. Non è bastato il sopruso del mare ad interrompere il dialogo, a silenziare il vocio degli dei, a mortificare il versante della ricordanza.
La memoria di ognuno è memoria a latere, fugace, al pari del tempo vissuto. Si fa implicazione millesimale eppure determinante. Nasce pertanto in questa corte di intenti il progetto di una mostra che sia itinerario di connessioni e stazione di rilievi, luogo in cui le ipotesi a venire trovino gli aliti di un illimite temporale e visionario. Baia è l’ambito dell’incertezza e della conoscenza posta dall’oscurità; territorio di esitanza e indugio. Ciononostante sintesi custodita degli infiniti tracciati. Ed è allora il coordinamento – finanche geografico – di una storia che è ricorrente a dispetto del naufragio o della sua dimensione celata. Baia è l’origine: il punto che si dilata per segni e meridiane, che tracima e restituisce presenze, congetture, prospettive. Ma Baia è soprattutto il territorio intimo di una “appartenenza allargata” che non si misura più su sbarramenti identitari bensì su una sorta di “tonalismo” comune dettato proprio dall’origine, da questo varco di terra e di mare – nonché di cielo – che ci riconduce ad una presenza intimamente familiare proprio con quella terra e quel mare, e con le sue genti. Come se disegnassimo una insenatura capace di toccare e accogliere i lembi di etnie in transito, di sguardi e voci alla ricerca di una nazionalità amplificata, talvolta debordante, condivisa.
Gli artisti, nella loro fatale autonomia espressiva si fanno comunque sentinelle e attori di un viaggio partecipato – come un’allegra brigata – restituendo, per minuscoli rituali, le tessere di un esauriente mosaico: cromatico, concettuale, linguistico, preziosamente vivo.
Erica Appiani rivela la consuetudine del volto – non già lo sguardo – che è contemporaneo e remoto al contempo, come epilogo o approdo del viaggio. Miguel Ávila decostruisce, con l’ironia del segno, la tirannia della conflittualità e della intolleranza. Luz Bañón, artista poliedrica, rielabora tracce inconsuete e indelebili per farne architrave del dire. Virginia Bernal agisce per dialoghi frammentati, recisi, talvolta evanescenti, come sottovento. Quella di Antonio Ciraci è una pittura di microscopiche stille come ad affollare lo spazio fino a rubarne il respiro. I paesaggi iconografici di Carlo De Lucia hanno architetture trasparenti, quasi una illusione della forma e di coloro che li abitano. Xavi Ferragut non lascia adito a congetture o alibi. Il suo è un realismo intransigente all’interno del quale trova riparo il dolore inappellabile dell’uomo. Gioca di rimandi Marcello Gallo ponendo in campo le escursioni scenografiche in una narrazione che non si sottrae al rifiato della memoria. Alicante Mateos incede – e incide – per segni essenziali come lo sono quelli bambineschi, i più risolutivi, i più autentici. Ancora la memoria, ovvero il dialogo, quello che investe le opere di Kraser che sceglie la “classicità”per affidarla (per allusioni e illusioni) alla volontà del contemporaneo. Ana Ortín e il mito: riesumato dalle traiettorie dell’immaginifico e apparecchiato come inedito racconto. Aurelio Talpa e la materia. Che è storia di inganni e di occasionali bagliori. Lui ne scava l’essenza per restituire ipotesi di sguardo e di fuoco. L’iperrealismo di Salvador Torres si fa diario di bordo, meticoloso, attento, affinché il colore e il segno restituiscano la lingua dell’anima. Enzo Trepiccione e la calligrafia del sogno: gestuale, reiterata, ribadita come timbro incalzante di un autentico e inedito sillabario.
Parafrasando Sam Francis “questa pittura giace sotto la nube che si è levata sul mosaico del mare”.
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